Decima campana che ci parla di cinema, quello d’autore, quello sfornato dalla cultura italiana degli anni 50, 60 e 70 del secolo scorso; periodi irripetibile di bellezza e armonia del pensiero culturale.
E la volta di Liliana Cavani, altro mito della celluloide; ha un esordio giovanile da secchiona; prende con pieni voti la maturità classica e si laurea successivamente in lettere antiche. Da sempre appassionata di cinema, si dedica alla regia; inizia a realizzare documentari dove l’impegno politico e sociale la fanno da padroni e i suoi lavori vanno in televisione.
Cosa importantissima, il primo film vero e proprio della Cavani, il San Francesco di Assisi del 1966, è il primo film in assoluto prodotto dalla RAI.
Ma il film che presentiamo stasera, immaginato da le Molecole sulla decima campana del progetto GAUcinema, è L’ospite, diretto dalla Cavani nel 1972. Il giorno della nostra escursione a Cinecittà, fummo molto fortunati e cogliemmo le due artiste formanti il collettivo Molecole mentre stavano affrescando la campana. Ecco la testimonianza!
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Tornati a bocce ferme e in condizioni di luce favorevolissime, siamo in condizione di presentare le tre facce componenti l’opera.
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Il film narra di una donna ricoverata in un manicomio che lotta per non esser completamente annullata dal male che vive da sempre all’interno delle mura del lager (è più realista chiamarli così i manicomi); fortunatamente la legge Basaglia del 1978 spazzò via definitivamente quella ignominia.
La narrazione ha origine quando uno scrittore viene ammesso a visitare un manicomio perché da quell’esperienza vuole realizzare un libro. E qui incontra quella donna, soggetto unico del film, che nello sviluppo della storia cinematografica diventa un essere soprannaturale, animistico, capace di amare, fondendoli in un unico essere, un altro malato che lei accudisce con amore, e un suo caro cugino deceduto e origine della depressione che l’aveva portata in manicomio. Il tutto fra fughe, dopo la prima dimissione dall’ospedale psichiatrico, ostile rientro in famiglia, fuga in una villa di famiglia abbandonata e un successivo ricovero in manicomio.
Al momento del nuovo ricovero in manicomio, la donna, di nome Anna, torna a occuparsi amorevolmente del paziente, di nome Luciano, cui già si era inizialmente dedicata.
Il film fu premiato con il Golden Rudder (timone d’oro) alla trentaduesima Mostra del Cinema di Venezia del 1971, prima dell’uscita nelle sale.
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La Cavani dichiarò di aver realizzato il film per portare di fronte all’opinione pubblica la problematica dei manicomi sulla quale incidevano sommandosi, le carenze umane nei rapporti interfamiliari e il basso livello di preparazione professionale di tutto il mondo sanitario. Evidenziò poi che a finire nei manicomi erano sempre donne povere o comunque di basso rango; mentre, se una donna benestante dell’alta borghesia, manifestava situazioni non allineate al pensiero corrente, la si mandavano a fare una crociera.