Quando crescemmo e andammo a scuola
C’erano insegnanti che avrebbero
Fatto del male ai bambini in tutti i modi
Riversando il loro scherno
Su qualsiasi cosa facessimo
E smascherando ogni debolezza
Per quanto i ragazzi la nascondessero con cura
Ma in città era ben noto
Che una volta tornati a casa la sera, le loro grasse e
Psicopatiche logli li avrebbero picchiati
Fino a ridurre a pezzetti le loro esistenze
Ti feriscono a casa
e ti picchiano a scuola
Ti odiano se sei intelligente e poi disprezzano gli imbecilli
Fino a che non sei così fottutamente pazzo
che puoi seguire le loro regole
Bisogna essere un eroe della classe operaia
Bisogna essere un eroe della classe operaia
Dopo averti torturato
e terrorizzato per più di vent’anni
Si aspettano
che tu intraprenda una carriera
Quando non puoi veramente funzionare sei così impaurito
Qui sopra i testi di due canzoni di tanti anni fa; siamo negli anni settanta del secolo scorso, anni irripetibili che probabilmente hanno segnato l’apice più alto mai raggiunto dalla civiltà umana. Due pezzi che all’unisono hanno appoggiato la rivolta di una generazione contro tutto ciò che li aveva preceduti e aveva dominato tutti i settori della società e che, in quel momento, servendosi degli insegnati da loro formati, cercavano di soffocare ogni sentimento di ribellione nella nuova generazione che voleva costruire una società più giusta, umana.
Quello a sinistra è il testo di “The Happiest days of our lives” drammatica canzone inserita nello storico album “The Wall” dei Pink Floyd (probabilmente nella persona di Roger Waters), dove le parole erano precedute da un “tape effect” di quasi mezzo minuto di un martellante suono di un elicottero (sostituito nell’omonimo film da un altrettanto drammatico sferragliare di un treno).
Quello a destra è parte del testo di una canzone (Warking Class Hero) scritta da John Lennon (di quasi dieci anni più antica di quella dei Pink Floyd); parla di classi sociali, si sofferma sulla classe operaia, quella che era probabilmente la sua; narra del micidiale controllo, da parte del potere, sulla generazione che si stava allora formando, dove gli insegnanti, arma affilata del potere stesso, agivano al solo scopo di spegnere i desideri di cambiamento sociale che animava i giovani studenti.
Lo spunto a fare questa nostra riflessione e parallelo, è stato un poster apparso di recente sul muro di un vicolo defilato della Roma Rinascimentale. Occasione il quarantennale della morte di John Lennon per mano di un’omicida squilibrato.
Il poster, opera di Harry Greb, lo abbiamo trovato (per nostra fortuna, visto il maltempo imperante e le precarie condizioni in cui era stato fissato alla parete) dopo almeno tre giorni dalla segnalazione della sua comparsa. La fattura del pezzo, oltre i contenuti, a noi molto cari, è anche pregevole per nitidezza e colori.
Veniamo ora al pezzo!
Entriamo in Arco di S. Margherita e mettiamoci nella posizione ideale.
Lennon indossa una maglietta bianca con su scritto: “loro non sono robot“. Alla luce degli sviluppi della collettività umana, con una certa delusione, Lennon ci fa notare quanto i “droidi”, molto stars wars, e i “replicanti” alla blade runner, siano più umani degli umani.
Scendiamo nei dettagli del pezzo.
Ecco, proprio quel cartello recante il titolo di quella canzone “Working class hero” ha destato la riflessione da noi fatta in apertura. Non c’era poi tanta differenza di vedute fra lui e i Pink Floyd; non per nulla sia l’uno che gli altri sono stati molto importanti per la nostra formazione sia sociale che culturale.
Una curiosità: la canzone di John Lennon fece molto scalpore per i suoi contenuti e per l’uso schietto della parola “fucking“; fu oggetto di censura in vari stati anglofoni e addirittura radio che la trasmisero furono giuridicamente perseguite e multate.
Torniamo all’Arco di S. Margherita; un po’ di gente ci aspetta.
c’è chi passa…. e chi si ferma e cattura
la postina in libera uscita… e i turisti di passaggio