Per il terzo giorno consecutivo restiamo nella fabbrica abbandonata della Tiburtina dove per quasi cinquanta anni si produsse la penicillina per tutta l’Europa, compresi i paesi oltrecortina. La visita non programmata di oggi è dovuta all’apparizione, tra quelle mura, di alcuni pezzi degni di nota, fra i quali spiccano due volti realizzati da Sfhir. Ma andiamo per gradi e soprattutto guardiamoci bene intorno sia per le meravigliose architetture che ci circondano sia per i tanti trabocchetti che si nascondono alla nostra vista ma che, insidiosissimi, minacciano la nostra incolumità. Entriamo come di consueto dal lato est che riteniamo sarà ancora per poco accessibile per il volgere a termine dei lavori di sistemazione della via Tiburtina che già vede l’innalzamento di una robusta cancellata per tutta la lunghezza della ex fabbrica. Nella parte piano-strada, non facciamo in tempo ad abituare i nostri occhi alla semioscurità che già ci appare il primo pezzo:
Sfhir
due altre inquadrature del pezzo
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Facciamo una rampa di scale ed entriamo, dal lato opposto rispetto all’entrata, un quelle che erano le aree interne della fabbrica, fatte una volta di vialetti ed ora solo depositi di immondizie più disparate. Entriamo in un edificio che ha la particolarità di essere un solo ambiente dalla considerevole altezza, sicuramente oltre i dieci metri. E qui troviamo un secondo pezzo, immenso, corredato di un grazioso esercizio calligrafico monocromatico.
il pezzo
nell’ambiente, in compagnia di Other e Cactart, MK, Qwerty
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Non facciano in tempo ad uscire da qui ed entrare nell’edificio accanto, che ci troviamo davanti il secondo pezzo di Sfhir perfettamente incastonato nel muro che è destinato a sorreggerlo per moltissimo tempo.
Noi abbiamo dedicato molto del nostro tempo e della nostra creatività a questo pezzo, ogni volta poi, che provavamo ad andarcene rientravamo di corsa per sperimentare nuove inquadrature, eccone solo alcune:
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Il nostro lavoro sembravo ormai esaurito, quando in un passaggio di routine sull’edifico uffici, abbiamo trovato una gigantesca istallazione fotografica, fatto artisticamente molto inusuale per la città di Roma. Argomento della istallazione, volti prodotto dell’unione di due o quattro volti differenti; l’effetto prodotto è quello della produzione di infinite combinazioni di stati d’animo. La parete espositiva è una rampa di scale, per la precisione quella che va dal primo al secondo piano; eccola
l’istallazione fotografica
particolari
Individuata una posizione idonea a immortalare questi volti attraverso il finestrone che illumina la scala, decidiamo di portarci rapidamente nell’edificio di fronte, non prima però di aver registrato un nuovo pezzo di Kocore:
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Eccoci quindi nell’edificio di fronte, per intenderci quello oggetto del tentativo di speculazione edilizia dallo stile palazzinaro e stranamente non portata a termine; ecco i volti visti attraverso il finestrone
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Ma oggi le sorprese non finiscono proprio mai; meno di dieci metri più il là, su di una colonna un altro pezzo, un misterioso ed emblematico personaggio che vagamente fa pensare ad un prete.
il pezzo
nell’ambiente
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E questo è proprio tutto; prima di prendere la rampa delle scale che ci porterà nell’interrato e poi sulla via Tiburtina, lanciamo lo sguardo sulla nostra fabbrica, con molto trasporto perché, anche oggi come tutte le altre volte, pensiamo che quella fatta sia stata l’ultima visita
Quattro rampe percorse velocemente, conquistiamo lo sterrato e ci avviamo verso l’uscita; un attimo, un ultimo sguardo…………….
………………….. e via!