Da oggi monitoriamo un altro muro romano, più o meno libero, dove i writers amanti del lettering si ritrovano con una certa frequenza per realizzare le loro opere.
Siamo nel quartiere istituzionale “Ardeatino”, in uno scampolo di un territorio dove, intorno agli anni settanta del secolo scorso, sotto l’influenza di una scuola di pensiero che prevedeva al di là di ogni rigore estetico la realizzazione di sistemi direzionali e strutture residenziali iper-razionali, è nata, architettonicamente parlando, una piccola “Unione Sovietica” fatta di bruttissimi edifici, grandi strade prive di traffico, ampie zone verdi mai frequentate da alcuno.
Probabilmente le cose non erano chiare nemmeno nella testa dei progettisti; in quegli anni si sperimentava e basta, intanto le cavie erano povera gente che, essendo vissuta, nell’immediato dopoguerra, nelle baracche dell’Acquedotto Felice o in coabitazione con parenti ed amici, pur di avere una vera casa propria non andava per il sottile, accettava tutto; gli architetti del tempo si sbizzarrirono in folli progettazioni, dai palazzi chilometrici, vedi Corviale, ai grattacieli nel nulla, vedi Tor Bella Monaca per arrivare ai palazzi circolari (immensi e racchiusi in se stessi dove tutto doveva essere previsto, dove l’autosufficienza e l’autonomia dovevano essere la regola) di via Ballarin, la zona dell’ardeatino dove si trova anche via Renato Cesarini.
Qui, defilato e affossato sotto un orrendo palazzo circolare che si regge su sottili colonne di spoglio cemento armato, c’è un brutto e freddo parcheggio che, se non fosse per i colori dei tanti murales dipinti sui muri che lo circondano, non avrebbe nulla da invidiare ad un girone dell’inferno dantesco.
Passiamo ora in rivista le opere che vi abbiamo trovato nel corso della nostra visita effettuata ieri 16 gennaio.